
La dinamica demografica, insieme a quella ambientale, è oggi fra le sfide globali più importanti. In Italia i residenti che hanno compiuto almeno 75 anni di età sono ormai oltre 7 milioni, l’11,7% della popolazione, e tra loro oltre la metà ha spento almeno 80 candeline.
Il valore globale generato dalla cosiddetta “Silver Economy” è stimato in circa 15,6 mila miliardi di dollari, un business dalle enormi potenzialità in termini sia di erogazione di servizi sanitari che commercio di beni e servizi.
Le grandi multinazionali da anni orientano la propria offerta su quella fetta di consumatori, che non solo dispone di una capacità di spesa pro capite più elevata ma anche relativamente più stabile rispetto agli under 40.

A livello governativo anche le politiche abitative iniziano a rispondere alle esigenze di questa fascia di cittadini.
Non a caso rientra nel novero delle riforme previste dal PNNR la Legge Delega per gli anziani. Il Governo, tramite il D. Lgs. 29 del 15 marzo 2024, ha attuato gli artt. 3-4-5 della Legge delega 33/2023, introducendo “Linee guida in materia di senior cohousing e di cohousing intergenerazionale” e aprendo la strada alla codificazione di innovative forme di coabitare partecipato, solidale e condiviso realizzate nell’ambito di case, case-famiglia, gruppi famiglia, gruppi appartamento e condomini solidali, aperti ai familiari, ai volontari, ai prestatori esterni di servizi sanitari, sociali e sociosanitari integrativi, nonché ad iniziative e attività degli enti del terzo settore.
Il D.Lgs 29/2024 prevede che i progetti di coabitazione debbano essere realizzati prioritariamente attraverso meccanismi di rigenerazione urbana, riuso e recupero del patrimonio costruito, con particolare attenzione alle periferie, alla sostenibilità energetica alla coerenza con interventi già finanziati sul territorio e con attenzione al soddisfacimento dei bisogni dei beneficiari e della promozione della socialità.
È chiaro l’intento dell’Italia di puntare sull’edilizia residenziale sociale (ERS), nella sua declinazione più solidale, il cohousing, per fronteggiare le esigenze di una popolazione sempre più anziana e bisognosa di assistenza.
In quest’ottica l’edilizia residenziale sociale (ERS) si pone come una sorta di secondo welfare, fatto di interventi offerti da un sistema di attori economici e sociali quali ad esempio imprese, assicurazioni o terzo settore. Questa offerta si affianca a quella istituzionale e introduce nuove logiche di partnership pubblico-privato in cui il settore pubblico assume il ruolo di supervisore e promotore mentre i capitali sono privati.
Per gli anziani la coabitazione presenta vantaggi innegabili, permette la condivisione dei costi fissi relativi ai consumi e all’assistenza, favorisce sistemi di convivenza sociale in grado di stimolare la partecipazione attiva e promuovere la vita indipendente (in particolare per gli anziani con disabilità), prevenendo i rischi di isolamento sociale e garantendo una certa continuità assistenziale laddove il welfare tradizionale risponde ai soli bisogni di tipo materiale.
Purtroppo in Italia non esiste ancora una banca dati che tenga conto del numero di persone che vivono in cohousing ma emerge comunque, navigando sui siti internet dei capoluoghi italiani, un certo interesse per forme di coabitazione in varie declinazioni: senior, intergenerazionale, studentesco, agricolo eccetera.
Tra i tanti vantaggi la vicinanza consente un monitoraggio informale dello stato di salute dei propri coabitanti consentendo la presa in carico precoce in caso di bisogno, e ultimo, ma non per importanza, il cohousing può essere un modo di abitare economicamente più sostenibile grazie alla condivisione di spazi risorse e servizi.
Spesso questi modelli abitativi adottano soluzioni ecologicamente sostenibili, innovative, partecipative e inclusive.
Sembrerebbe quindi che il cohousing sia la formula perfetta per fronteggiare le conseguenze dell’inverno demografico che l’Italia sta attraversando, eppure, specie per quanto riguarda gli anziani, la coabitazione non è un modo di vivere così diffuso né così ambito.
Le motivazioni di questa diffidenza sono molteplici, come accennato in precedenza le difficoltà riguardano il quadro normativo nazionale che, a oggi, manca ancora di una definizione giuridica chiara di cohousing, né esistono normative che lo favoriscano ad esempio con l’erogazione di contributi o finanziamenti dedicati o sgravi fiscali.
Inoltre non si può ignorare il fatto che l’Italia sia un Paese in cui è fortemente radicata la cultura della famiglia, con le donne in prima linea come principale supporto alla cura, motivo per cui l’idea di una vita in comunità con altri non familiari spesso suscita diffidenza o scettiscismo.
Nondimeno vivere in comunità richiede competenze personali organizzative e relazionali che non tutti posseggono, bisogna ammetterlo: saper condividere, saper mediare, rinunciare a parte dei propri interessi privati per il bene del gruppo non è per tutti.
Inoltre i costi, almeno per il momento, risultano essere certamente escludenti per chi si trova in situazione di povertà e nella maggior parte dei casi anche per gli individui che si collocano nella “zona grigia” dei redditi, ragion per cui non viene percepita dalla collettività come una soluzione strutturale, ma come “cosa per pochi”.
Il senior cohousing rappresenta senza dubbio una concreta e sostenibile soluzione ai problemi che riguardano le condizioni abitative degli anziani e rappresenta un modello che realmente può prevenirne la istituzionalizzazione tuttavia, ad oggi, gli ambiziosi obiettivi del PNNR rischiano di mancare l’obiettivo di permettere agli anziani di “abitare la propria età” in assenza di una governance mirata.