Origini della lingua: la parola è memoria tramandata oralmente


Parlare dell’identità di un popolo significa anche e innanzitutto andare a ritroso fino all’origine più arcana e remota della sua lingua. Ogni lingua che si è protratta nel tempo fino ai giorni nostri è dotata di una radice profonda che la ancora al terreno di appartenenza, riuscendo così a integrare il nuovo linguistico senza modificare la sua essenza.

Spesso la lingua è fatta più di suoni che di parole, di significati più che di significanti, di immagini più che di concretezza. Compito del linguista è certamente quello di andare alla ricerca dell’origine, della culla in cui nasce una lingua. Se ci pensiamo bene anche la parola stessa “origine” è dotata di una radice che si riferisce a tutto ciò che è voce, oralità, parola tramandata di generazione in generazione e quindi, di conseguenza, tradizione.

Secondo una citazione del filosofo francese Bernardo di Chartres:

Siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti”.

Così il linguaggio è una fonte inesauribile di conoscenza e di sapere che, tramandato lungo il corso del tempo, diviene materia prima con la quale plasmare il presente.

Nel nostro piccolo siamo tutti sulle spalle dei giganti.

Ne è un esempio la lingua sarda che si contraddistingue per il suo forte legame con l‘origine, che nello specifico risale fin all’epoca nuragica. Ed è proprio nella culla nuragica che si sviluppano una serie di concatenazioni tra la vita quotidiana, quella religiosa e la lingua.

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La lingua per i nuragici è stata probabilmente comunicazione attraverso sillabe ricorrenti, spesso onomatopeiche, che oggi si ritrovano nei toponimi di luoghi e paesi, nei nomi di piante e animali. Per comprendere quindi il senso profondo di un luogo, di un sito archeologico o di un paese, o perché no anche di un cognome, è necessario risalire all’origine del nome, ricercando proprio quelle radici imprescindibili che unite in una parola danno un’idea più ampia del suo significato.

Ogni radice non è solo connessa al significato del luogo ma è anche una guida che ci illustra ad esempio il culto o la sacralità della cosa in sé, una sacralità impregnata di astronomia e di rimandi tellurici.

Ogni tribù nuragica con tutta probabilità si contraddistingueva per una sua radice specifica, radice linguistica e “sacra”, da cui prendevano il nome oggetti e luoghi. Ne sono un esempio la tribù dei Bar- o quella degli Or- che hanno dato vita ad una serie di toponimi a loro riferiti, che oggi ritroviamo nel nome di comuni quali Bar-rali, Or-istano oppure luoghi come il noto nuraghe di Or-roli o Bar-umini (cfr M. Pittau, La lingua dei sardi nuragici e degli etruschi, Sassari, ed. Dessì, 1981). Queste radici si ritrovano a migliaia in Sardegna e rispecchiano la diffusione di queste singole tribù attraverso il tempo.

Uno spiccato tratto cultuale riveste di sacro la maggior parte delle parole della lingua nuragica, distinguendo ad esempio il culto solare e quello lunare attraverso radici differenti, che poi si riversano in tutte le parole. La più immediata è la radice Or-, diffusamente riferita al culto solare e quindi al Sole oppure la radice Ol- riferita alla Luna e al suo culto.

Queste connessioni si moltiplicano se pensiamo anche ai cognomi sardi più antichi, i quali perpetuano l’impronta nuragica. Le parole stesse della lingua sarda riproducono a tratti l’antica “origine“, che così serpeggia dai tempi remoti fino ad oggi.

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La lingua diventa quindi memoria e tramanda oralmente, come al tempo degli aedi, la sua quintessenza più antica.



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